martedì 27 novembre 2018

ARTICOLI, MANIFESTI, DOCUMENTI DIVERSI



In rivista “L’ASTROLABIO” (quindicinale) n. 9·10 ,  1984
Sicilia: le anomalie del sistema economico
“LO SPIRITO DEL CAPITALISMO NON ABITA PIU’ QUI”
di Agostino Spataro

Mafia e militarizzazione rappresentano, aIlo stato attuale, i fattori principali destinati a pesare di più sulla prospettiva economica e politica del!a Sicilia. Quello dello scompenso fra consumo e produzione è il nodo che bisogna sciogliere per avviare uno sforzo programmatico ri-equilibratore.

1…  Sulla realtà economica siciliana grava un intreccio complesso d'interessi e di disegni, tale da soffocarne lo slancio ed impedirne una proiezione sana e dinamica, fuori dalla palude del parassitismo e dell'assistenzialismo, in grado, comunque, di recuperare gli antichi ritardi e di mettersi al passo con i mutamenti che la crisi impone. E' ormai chiaro come mafia e militarizzazione costituiscano due fattori importanti, destinati a pesare nella prospettiva economica e politica della Sicilia. Dentro il blocco di potere politico-mafioso dominante sembra si siano messi in moto processi e strategie che potrebbero da un lato sconvolgere la mappa del potere economie e dall'altro lato condizionare lo sviluppo per un certo periodo.
Vi sono imperi che crollano o sull'orlo del precipizio e altri che, profittando delle contingenze (non sempre economiche), avanzano alla conquista di posizioni di comando. Sono in corso grandi manovre che vedono nuove consorterie contendersi lo spazio lasciato da altre cadute in disgrazia, alla ricerca di un nuovo equilibrio di potere economico e politico.
Le ripercussioni si avvertono dappertutto e fino a quando il nuovo equilibrio non sarà realizzato la Sicilia e le sue articolazioni istituzionali non avranno « pace ».

2…  Un rivolgimento, dunque, silenzioso e sotterraneo, le cui dimensioni è difficile calcolare, per il quale non valgono le leggi di mercato, ma codici non scritti e, quasi sempre, rispettati. Perciò il nuovo che avanza, sospinto da questa logica, non rappresenta un fattore di progresso, ma una pura e semplice sostituzione dell'esistente.
Certamente, non possono essere questi i nuovi soggetti dello sviluppo. Su questo punto bisognerebbe fare chiarezza definitivamente, perché si possa voltare pagina e promuovere idee e forze davvero nuove per lo sviluppo, diradando le ombre e le accuse criminalizzanti che pesano su alcuni settori del sistema economico siciliano. Le forze politiche, sindacali e imprenditoriali sane, che non intendono cedere a certe tentazioni, dovrebbero di più e meglio riflettere su quanto sta avvenendo in Sicilia e adoperarsi conseguentemente per prendere in mano la situazione oggi allo sbando, nella quale non si avverte la presenza di una autorità capace di esercitate un ruolo d'indirizzo e di controllo, se non di vera e propria programmazione, e quindi di regolazione democratica dei fattori e dei soggetti dello sviluppo.

3… Un puntò decisivo ed attuale, che potrebbe influenzare, in un senso o nell'altro, l'avvenire economico dell' Isola, è dato dalla direzione e dal modo in cui si dovrà spendere la gran massa finanziaria di cui è titolare la Regione. Si tratta di oltre 5 mila miliardi accumulatisi, negli ultimi anni, come residui passivi e di almeno altri 10 mila miliardi fra cespiti, contributi e prestiti di cui potrà disporre la Regione nel prossimo triennio. Per quanto riguarda le spese correnti dello stesso triennio, la spesa prevista è di altri 13 mila 500 miliardi.
Nessun'altra regione italiana può vantare una disponibilità finanziaria di circa 28 mila miliardi Una massa finanziaria considerevole che stuzzica appetiti e sollecita l'iniziativa di gruppi e potentati, da sempre pronti ad andare all'arrembaggio delle risorse della regione. Il pentapartito, recentemente ricostituitosi, non ha saputo o voluto indicare i campi e i criteri di utilizzazione di queste somme. Soltanto il PCI, dall'opposizione, si è fatto carico d'individuare e proporre una piattaforma verso cui orientare la spesa per progetti. Bisogna ripensare I 'ipotesi dello sviluppo che per essere veramente tale dovrà realizzare un allargamento delle basi produttive ed occupazionali. Una spesa che non produca questi risultati, come purtroppo è stato per il passato, non solo è effimera, ma potrebbe rivelarsi una fonte di spreco e di corruzione e quindi di ulteriore contaminazione della società politica che la manovra e di quei settori che ne sono destinatari.

4…  Di analisi se ne sono fatte tante, ma è bene ricordarsi che il sistema economico siciliano, a parte i fattori di remora sopra ricordati, presenta una grave anomalia rispetto alle aree del centro-nord, quella cioè d'importare quasi tutto e di esportare pochissimo.
Se osserviamo, infatti, i dati più recenti ( 1982) è agevole rilevare come la Sicilia importi dall'estero il 43,4% delle merci e ne esporti soltanto il 2 ,7 % ; tutto questo mentre gli indicatori del valore aggiunto calano paurosamente (prodotti agricoli meno 10,2%, industriali meno 2,8%) per effetto di un'allarmante dequalificazione degli impianti esistenti (fonte: rapporto Svimez 1983). E' chiaro che a questa grav1ss1ma condizione produttiva, alla quale fa riscontro il dato esplosivo della disoccupazione (350 mila unità), non si può rispondere con il nulla del Governo centrale e nemmeno con le astrattezze paralizzanti di quello regionale. Ci vuole ben altro.
I dati, inoltre, intervengono a conferma di una tendenza, storicamente determinatasi e in progressiva evoluzione, secondo cui la Sicilia è da considerarsi area di consumi e non di produzione. Il forte scompenso fra consumi e produzioni si configura, oramai, come una precisa scelta che spiega l'intera storia economica siciliana. Questo è il vero nodo che bisogna sciogliere in positivo, se si vuole avviare un serio sforzo programmatico ri-equilibratore.

5…  E qui il discorso ritorna ai soggetti: allo Stato e alla Regione per la parte che hanno da svolgere e, anche, al ceto imprenditoriale. Saprà questo ceto liberarsi da metodi e concezioni superati e raccogliere la sfida del progresso?
A parte le rituali declamazioni di vittimismo non si nota fra gli imprenditori siciliani, tranne qualche rara eccezione, una volontà decisa ad uscire da una concezione d'impresa assistita e protetta, nella quale si riduce, sempre più, il margine di rischio e si esalta la passione per l'incentivazione e la tendenza ali' affare. Pur essendovi nell'isola una notevole disponibilità di capitali pubblici e privati (solo fra banche, risparmio postale e buoni fruttiferi si sono raccolti nel corso del 1982 oltre 17 mila miliardi e di questi meno di 7 mila sono stati impiegaci in Sicilia) è mancato quello che Max Weber definiva « lo spirito del capitalismo ». Ecco perché l'incentivo dovrà essere rigorosamente vincolato e commisurato alla qualità e alla quantità dell'investimento e alla sua capacità di creare ricchezza e occupazione. Altrimenti non c'è l'impresa, ma l'affare.

In conclusione bisogna liquidare ogni consorteria, spezzare la trama che si sta intessendo, favorire l'affermazione di un ceto imprenditoriale moderno e dorato di un sufficiente spirito d'impresa e del necessario respiro nell'individuazione delle scelte produttive e nei collegamenti con i mercati e con i centri finanziari nazionali ed esteri. Soltanto a questo modo ci si può liberare dalla cappa opprimente del blocco di potere politico-mafioso ed aprire la Sicilia al vento del progresso civile ed economico. 

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Segreto militare
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Richiesta di aumento della tassa sulla casa...









Articolo sul "dialogo euro-arabo"


















                                                 
Centrali nucleari CANDU in Sicilia


                                                               











Lettera ministro Antonio Bisaglia centrali nucleari Candu /1


on. Bisaglia /2

on. Bisaglia / 3





Primo Maggio a Ioppolo- anni 80. Da sin: zi Peppi Abissi, Angelo Argento (cavallaggeri) prof. Luigi Giglione, C. Amoroso, Agostino Spataro, G. Bomomo (?). Sul palco (?) sindacalista della Cisl prov.le




Procura della Repubblica di Agrigento: denunzia e ordine di comparizione per 6 studenti accusati di avere organizzato l'occupazione del Liceo Empedocle (il 5/12/68) per protestare contro l'eccidio dei braccianti di Avola.






















"l'Avanti", Corleone le lotte contadine nel 1904





1966- Lettera all' avv. Salvatore Malogioglio fondatore de "La Scopa", foglio settimanale di Agrigento.

I compagni. Ioppolo, 1984

FOTO, ARTICOLI, DOCUMENTI (anni '70. '80..).

Roma, 1999- Villa Medici. Con Massimo D'Alema, Presidente del Consiglio) 


Da"Il Manifesto" del 24 nov. 1984)


(da rivista "Anna Bella", foto prima seduta nuova Camera, luglio 1976)


"Nuova Agricoltura", marzo 1968

            Palma Montechiaro (giugno 1966), manifestazione popolare per l'assistenza sanitaria gratuita


PIO LA TORRE

"l'Unità", novembre 1981













   Interrogazione Ciancio da parte senatori Psi Frasca e Greco
Interpellanza Ciancio sen. Psi, 1984

Beirut, 1981- Delegazione parlamentare italiana nel bunker di Yasser Arafat
Roma, ott. 1982. Yasser Arafat in Italia invitato dal Presidente Pertini. Conferenza stampa al Gran Hotel. Da sin. A, Spataro, G. Benvenuto, P. Carniti, L. Lama, E, Egoli, D. Valori, Y. Arafat.






A proposito di Iran: QUANDO BANI SADR NON GIUNSE IN SICILIA
Intervista di Diego Romeo ad Agostino Spataro
Eravamo andati a Joppolo Giancaxio a trovare Agostino Spataro dopo ” l’11 settembre” e durante la crisi del Golfo. Adesso che tanto si discute di Iran e di Medio Oriente siamo ritornati nel piccolo paese nella” Provincia dell’Impero” dove Agostino Spataro, già deputato del PCI e membro della Commissione Esteri della Camera, è sempre disponibile a conversare, a dare lucide anticipazioni e interpretazioni sugli avvenimenti che si verificano in quello scacchiere...
Una sorta di Cincinnato, tuttavia attivissimo come direttore di “Informazioni on line dal Mediterraneo” (www.infomedi.it), editorialista del quotidiano “la Repubblica” e scrittore di libri che narrano puntualmente l’evolversi di quella parte di mondo che rischia di condizionarci seriamente.
Troviamo l’on. Spataro molto contrariato per quanto sta accadendo in Iran. Contesta gli attuali detentori del potere e i loro predecessori, il regime nel suo complesso. Ricorda che nel 1979, agli inizi della “rivoluzione” khomeinista, manifestò, con un articolo in controtendenza rispetto alla posizione del PCI, la sua personale avversione a quel regime teocratico e intollerante che tra l’81 e l’89 provocò decine di migliaia di assassini di avversari politici.
“La gran parte di tali crimini" -rivela Spataro- "si verificarono durante il lungo governo del signor Hosein Mir Musawi, lo stesso che, oggi, la stampa e i dirigenti occidentali presentano come vittima dei brogli elettorali e campione della liberà e della democrazia".
Questa è una notizia non molto rimarcata dalla stampa occidentale. Se queste sono le premesse su quali basi si potranno costruire nuovi rapporti? 
Sulle vicende elettorali iraniane si è detto e scritto tanto, ma non l’essenziale. In quel Paese-cerniera del Medio oriente non è in gioco soltanto la presidenza della repubblica islamica, ma ben altro: dalla difficile partita sul nucleare (militare?) iraniano al controllo delle grandi risorse d’idrocarburi, dalla “stabilizzazione” della situazione interna libanese ed irachena agli esiti della guerra afghana in cui sono impantanati vari contingenti della Nato.
L’obiettivo è quello di rimuovere l’attuale leadership iraniana considerata d’intralcio o addirittura un serio pericolo, soprattutto dai governanti israeliani.
In un modo o nell’altro. O con una nuova guerra (soluzione Bush condivisa da Israele che da anni è pronto a sferrare l’attacco) o con un capovolgimento elettorale (soluzione Obama) visto che l’Iran, nonostante tutto, è uno dei rarissimi paesi islamici in cui si vota.
Ovviamente, i conservatori al potere hanno capito l’antifona e si saranno attrezzati per respingere l’attacco anche sul terreno elettorale, ricorrendo anche a brogli. Come fan tutti.
Chi nel mondo, anche negli Usa, in Italia, può proclamarsi esente da questo riprovevole vizietto?
E difatti, al G8 de l’Aquila gli “otto grandi” si sono limitati ad esprimere nei confronti del regime degli ayatollah soltanto una “riprovazione” molto di routine. Tutto ciò mentre a Teheran continuano le manifestazioni per chiedere l’annullamento delle elezioni.
Tra elezioni andate in malora e rischio di guerra quale può essere l’alternativa?
L’approccio elettorale è certamente preferibile ad una nuova, disastrosa guerra. Tuttavia, gli strateghi occidentali forse dovevano puntare su un cavallo di una razza diversa di quella dei chierici islamisti.
Invece, hanno puntato su Musawi che a questa categoria appartiene, nascondendo il suo truce passato e presentandolo come “uomo nuovo” e simbolo di tolleranza democratica.
La solita manfrina politica, ipocrita e di corto respiro, che, grazie ad una copertura mediatica eccezionale e a tratti servile, è in qualche misura passata nell’opinione pubblica internazionale. Soprattutto fra i giovani che sconoscono la storia dell’Iran khomeinista e dei suoi principali esponenti come Musawi.
Effettivamente, chi non conosce il suo imbarazzante curriculum può anche solidarizzare con questo professore dall’aria mite, che lascia l’accademia per candidarsi a presidente riformista, su input dello “squalo” Rafsanjani potentissimo uomo di potere e vero burattinaio della politica iraniana.
Ma basta sfogliare qualche libro di storia o semplicemente andare su Wikipedia per scoprire che questo candidato, presentato come un uomo nuovo, appartato che sembra disceso dal cielo delle beatitudini della sapienza e della tolleranza, tanto nuovo non è...
Insomma tolto Ahmadinejad ci si aspetta di peggio…
Chi un po’ conosce la situazione iraniana, non si spiega come mai l’Occidente abbia scelto di appoggiare la candidatura di Musawi per togliere di mezzo Ahmadinejad.
Forse perché sperava in una nuova “rivoluzione arancione” (leggi manifestanti prezzolati mandati in giro per il mondo a contestare risultati elettorali non graditi), oppure non è stata individuata una personalità davvero riformista e con un passato pulito.
Il sostegno ampio (e omertoso) delle grandi potenze occidentali a Musawi dice che in Iran non s’intravvedono forze e personalità, sinceramente democratiche capaci di portare avanti, col consenso popolare, una vera riforma dello Stato e degli assetti di potere. Questo a me pareil vero dramma dell’Iran attuale.
Oltre Ahmadinejad e Musawi ci può essere un ruolo per Bani Sadr?
Fino a qualche anno addietro, molti iraniani hanno sperato in un ritorno sulla scena politica di Bani Sadr, il primo presidente della repubblica islamica, e da quasi 30 anni in esilio in Francia per sfuggire alle persecuzioni degli anni ’80.
Anche diverse forze politiche progressiste europee vedevano di buon occhio il ritorno di Bani Sadr, ma non trovarono il coraggio di dirlo apertamente. Di mezzo c’erano molti buoni contratti con l’Iran degli ayatollah.
Bani Sadr, uno dei più stretti collaboratori dell’imam Khomeini, eletto a furor di popolo, tentò di avviare un processo unitario di costruzione del nuovo Stato con tutte le forze, anche della sinistra, che avevano combattuto la dittatura dei Palhavi e partecipato alla vittoriosa “rivoluzione” del 1979.
Inaspettatamente, giunse la caduta, la condanna (a morte) del regime che Bani Sadr riuscì ad evitare fuggendo fortunosamente in Francia. Oggi è ancora lì, esiliato in una villa nei paraggi di Versailles, dove sconta la condanna più amara per un uomo che ama intensamente il suo paese, la sua gente.
In quegli anni lei ancora rivestiva importanti incarichi nel partito, può dirci se ci furono tentativi per rimetterlo in gioco?
Si qualche approccio è stato esperito. Ricordo che, nel giugno del 1999, andai a incontrare Bani Sadr proprio in quella villa di Versailles.
Da tempo in Italia si parlava, specie negli ambienti dell’opposizione iraniana all’estero, della possibilità di un contatto fra il primo presidente della repubblica iraniana ed esponenti italiani politici e di governo. Per altro, in quel periodo in Italia c’era un governo di centro-sinistra (Prodi, D’Alema) che aveva aperto un canale importante di comunicazione e di collaborazione con l’Iran del presidente “riformista” Khatami.
Nessuno pensava che il governo italiano dovesse interrompere tali contatti, tutt’altro. Anche se si sapeva che Khatami non avrebbe potuto, o voluto, oltrepassare certi limiti imposti dagli ayatollah. Solo si sperava che, nel quadro del nuovo clima politico iraniano e delle aperture dell’Europa, in particolare dell’Italia, si potesse favorire, nelle forme e nei tempi possibili, una sorta di riappacificazione nazionale e quindi consentire a Bani Sadr e agli altri esuli dispersi per il mondo di rientrare. Era troppo, era poco? A me sembrò semplicemente giusto.
D’accordo sul giusto ma tolti gli omissis cosa fu fatto in concreto?
Discutemmo su una iniziativa che potesse, in qualche modo, avviare un primo contatto.
L’idea era quella d’invitare Bani Sadr in Italia per presentare il mio libro “Fondamentalismo islamico-L’Islam politico” uscito mesi prima.
Ovviamente, la presentazione del libro era anche lo spunto per farlo venire in Italia. Una volta giuntovi, avremmo cercato di combinare qualche incontro con esponenti politici ed anche di governo, nelle forme possibili. Nel passato, avevamo organizzato incontri di questo tipo, anche al di fuori dell’ufficialità, con rappresentanti di movimenti di liberazione.
La richiesta degli amici dell’opposizione (che erano in contatto diretto con Bani Sadr) era quella di far patrocinare la conferenza di presentazione del libro da un’autorità istituzionale di un certo rilievo che, in qualche modo, potesse dare un crisma di ufficialità alla presenza di Bani Sadr.
Visto che pareva difficile ottenere la disponibilità del governo o di istituzioni centrali, si pensò di chiedere il patrocinio al presidente della regione siciliana che all’epoca era l’on.Capodicasa il quale si mostrò disponibile a patrocinare l’iniziativa e ad invitare in Sicilia l’ex presidente Bani Sadr.
Insomma, un giro piuttosto largo per raggiungere Roma.
Quindi il partito fu sufficientemente informato dell’escamotage che si preparava…
  
Non solo, ma forti dell’adesione del Presidente della regione, avviammo i preparativi del mio viaggio a Parigi. Però, prima di partire, informai la segreteria del PDS e la sezione esteri (con la quale collaboravo) ed anche lo staff del presidente del Consiglio, on. D’Alema, a palazzo Chigi.
Per averne un assenso anche di massima e, eventualmente, qualche consiglio.
Per prima mi recai alle Botteghe Oscure dove incontrai l’on. Nicola Zingaretti (attuale presidente della provincia di Roma) della sezione esteri del Pds il quale, pur con tutte le cautele del caso, non sconsigliò il viaggio a Parigi. D’altra parte, ufficialmente, l’iniziativa non era promossa dal partito, ma dal Centro studi mediterranei di Agrigento.
Zingaretti mi suggerì d’informare qualcuno dello staff di D’Alema. Ne parlai con l’on. Roberto Quillo il quale ascoltò senza prendere impegni. Mi disse che prima bisognava acquisire la disponibilità di Bani Sadr e dopo avremmo parlato degli aspetti connessi ad un’eventuale azione del governo.
Insomma atmosfera da 007, cautele diplomatiche e qualche incertezza di troppo che non lascia presagire nulla di buono…
Si, arrivo al dunque. L’incontro era stato fissato (dall’Italia) per il 2 giugno, alle ore 17,00 nella villa blindata di Bani Sadr (Versailles, rue du General Pershing, 5). Purtroppo, quel giorno uno sciopero dei taxisti paralizzò Parigi e fummo costretti a rinviare l’appuntamento all’indomani, alla stessa ora.
Superati i diversi controlli, gli uomini della vigilanza m’introdussero in un salone molto sobrio dove m’attendeva il presidente, col suo sorriso triste.
Tralascio i convenevoli e le impressioni sul personaggio per andare al tema. Bani Sadr si dichiarò disponibile ad accettare l’invito dell’on. Capodicasa e di partecipare alla conferenza di presentazione del mio libro da tenersi a Palermo dove sarebbe stato ricevuto, con tutti gli onori del protocollo, dal presidente della regione e da altre autorità regionali e comunali.
L’informai anche dei colloqui avuti con Zingaretti e Quillo e della possibilità di avere a Roma qualche contatto, anche ufficiale, con rappresentanti di partito e dello stesso governo D’Alema.
Però Bani Sadr è ancora esiliato a Parigi. Che cosa gli impedì di venire in Sicilia?
 
Al ritorno in Italia informai i miei interlocutori degli esiti dell’incontro con Bani Sadr ed anche, in separata sede, con Babac Amir Kosraviportavoce del Partito democratico del popolo iraniano.
Sollecitai una risposta anche perché si dovevano avviare i preparativi visto che si pensava di tenere la conferenza ad ottobre.
Anche gli amici dell’opposizione iraniana sollecitarono più volte i nostri interlocutori istituzionali e politici. Ma, inspiegabilmente, non ci fu data alcuna risposta. Era chiaro, anche se non detto, che l’iniziativa non doveva o non poteva più farsi. Non mi restò che telefonare al presidente Bani Sadr per ringraziarlo della cortese disponibilità, pregandolo di scusarmi per “l’inconveniente”.
  


      






Simposio int/le su Ambiente nei Paesi rivieraschi del Mediterraneo- Tunisi 7 nov. 1992.

Agrigento, 1973 (?), manifestazione unitaria Cgil, Cisl e Uil



"La Sicilia", 21 gennaio, 1975- art.di Nino Milazzo su "compromesso storico" ad Agrigento.


Milazzo2


Milazzo3




1976, il PCI propone la creazione del Parco archeologico della Valle dei Templi




Lisbona, sett. 1978- Intervento A. Spataro assemblea interparlamentare mondiale.

Manifestazione popolare a Siculiana (1973?)Aggiungi didascalia





Congresso prov. Pci, 1972. Al microfono a. Lauricella, seduti: A. Spataro, A. Capodicasa e F. Martorana 
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Lettera di convocazione Consiglio nazionale Pci- Roma, giugno 1980i 
                                     











Agostino Spataro: nota riservata sulla drammatica situazione economica e politica della Romania di Ceausescu alla Segreteria nazionale del Pci-  21/sett. 1983- Ossia 6 anni prima del crollo di quel regime.








LUIGI LONGO, Segretario Gen. del PCI ad Agrigento, 1967
Da sin: avv. Giuseppe Grillo, Totò Zangali (Agrigento), seduto Pippo Messina (segr. Fed); in piedi da sin: Libero Attardi (con pizzo), Dino Tuttolomondo, Carmelo Bruno (Ioppolo), Agostino Spataro, Luigi Longo, Girolamo Cani, Nestore Alotto (Licata), Nino Guarneri (Castrofilppo), Paolo Pistone (agrigento); sedute a ds: Grazia Simone (Canicatti), Nina Lauricella, (Campobello di L.) ecc





MOVIMENTO STUDENTESCO AGRIGENTINO (1968-71)



Dic. 1968- Agrigento- Manifestazione studentesca (in via Acrone) Foto: Agostino Spataro con occhiali scuri ed eskimo, accanto Maurizio Iacono in giacca e cravatta. 











Mancato rinnovo del mio passaporto per processo in corso (con altri 5 compagni) per occupazione liceo Empedocle di Agrigento (1968)



 
Intervista a Nepszabadsag sul mio libro "Mediterraneo- L'itopia possibie" Quotidiano ungherese- 27 luglio 1999. 


Delegazione Comm/ne Difesa Camera Deputati in USA (febbraio/marzo 1986)
(da documentazione Pentagono)




QUANDO BANI SADR NON GIUNSE IN SICILIA

Intervista di Diego Romeo ad Agostino Spataro



Eravamo andati a Joppolo Giancaxio a trovare Agostino Spataro dopo ” l’11 settembre” e durante la crisi del Golfo. Adesso che tanto si discute di Iran e di Medio Oriente siamo ritornati nel piccolo paese nella” Provincia dell’Impero” dove Agostino Spataro, già deputato del PCI e membro della Commissione Esteri della Camera, è sempre disponibile a conversare, a dare lucide anticipazioni e interpretazioni sugli avvenimenti che si verificano in quello scacchiere...                  Una sorta di Cincinnato, tuttavia attivissimo come direttore di “Informazioni on line dal Mediterraneo” (www.infomedi.it), editorialista del quotidiano “la Repubblica” e scrittore di libri che narrano puntualmente l’evolversi di quella parte di mondo che rischia di condizionarci seriamente. Troviamo l’on. Spataro molto contrariato per quanto sta accadendo in Iran. Contesta gli attuali detentori del potere e i loro predecessori, il regime nel suo complesso. Ricorda che nel 1979, agli inizi della “rivoluzione” khomeinista, manifestò, con un articolo in controtendenza rispetto alla posizione del PCI, la sua personale avversione a quel regime teocratico e intollerante che tra l’81 e l’89 provocò decine di migliaia di assassini di avversari politici. “La gran parte di tali crimini" -rivela Spataro- "si verificarono durante il lungo governo del signor Hosein Mir Musawi, lo stesso che, oggi, la stampa e i dirigenti occidentali presentano come vittima dei brogli elettorali e campione della liberà e della democrazia".                               Questa è una notizia non molto rimarcata dalla stampa occidentale. Se queste sono le premesse su quali basi si potranno costruire nuovi rapporti? 

Sulle vicende elettorali iraniane si è detto e scritto tanto, ma non l’essenziale. In quel Paese-cerniera del Medio oriente non è in gioco soltanto la presidenza della repubblica islamica, ma ben altro: dalla difficile partita sul nucleare (militare?) iraniano al controllo delle grandi risorse d’idrocarburi, dalla “stabilizzazione” della situazione interna libanese ed irachena agli esiti della guerra afghana in cui sono impantanati vari contingenti della Nato.L'obiettivo è quello di rimuovere l’attuale leadership iraniana considerata d’intralcio o addirittura un serio pericolo, soprattutto dai governanti israeliani. In un modo o nell’altro. O con una nuova guerra (soluzione Bush condivisa da Israele che da anni è pronto a sferrare l’attacco) o con un capovolgimento elettorale (soluzione Obama) visto che l’Iran, nonostante tutto, è uno dei rarissimi paesi islamici in cui si vota.Ovviamente, i conservatori al potere hanno capito l’antifona e si saranno attrezzati per respingere l’attacco anche sul terreno elettorale, ricorrendo anche a brogli. Come fan tutti.

Chi nel mondo, anche negli Usa, in Italia, può proclamarsi esente da questo riprovevole vizietto?

E difatti, al G8 de l’Aquila gli “otto grandi” si sono limitati ad esprimere nei confronti del regime degli ayatollah soltanto una “riprovazione” molto di routine. Tutto ciò mentre a Teheran continuano le manifestazioni per chiedere l’annullamento delle elezioni.

Tra elezioni andate in malora e rischio di guerra quale può essere l’alternativa?

L’approccio elettorale è certamente preferibile ad una nuova, disastrosa guerra. Tuttavia, gli strateghi occidentali forse dovevano puntare su un cavallo di una razza diversa di quella dei chierici islamisti. Invece, hanno puntato su Musawi che a questa categoria appartiene, nascondendo il suo truce passato e presentandolo come “uomo nuovo” e simbolo di tolleranza democratica.

La solita manfrina politica, ipocrita e di corto respiro, che, grazie ad una copertura mediatica eccezionale e a tratti servile, è in qualche misura passata nell’opinione pubblica internazionale. Soprattutto fra i giovani che sconoscono la storia dell’Iran khomeinista e dei suoi principali esponenti come Musawi.                                                                                         Effettivamente, chi non conosce il suo imbarazzante curriculum può anche solidarizzare con questo professore dall’aria mite, che lascia l’accademia per candidarsi a presidente riformista, su input dello “squalo” Rafsanjani potentissimo uomo di potere e vero burattinaio della politica iraniana. Ma basta sfogliare qualche libro di storia o semplicemente andare su Wikipedia per scoprire che questo candidato, presentato come un uomo nuovo, appartato che sembra disceso dal cielo delle beatitudini della sapienza e della tolleranza, tanto nuovo non è...

Insomma tolto Ahmadinejad ci si aspetta di peggio…

Chi un po’ conosce la situazione iraniana, non si spiega come mai l’Occidente abbia scelto di appoggiare la candidatura di Musawi per togliere di mezzo Ahmadinejad. Forse perché sperava in una nuova “rivoluzione arancione” (leggi manifestanti prezzolati mandati in giro per il mondo a contestare risultati elettorali non graditi), oppure non è stata individuata una personalità davvero riformista e con un passato pulito. Il sostegno ampio (e omertoso) delle grandi potenze occidentali a Musawi dice che in Iran non s’intravvedono forze e personalità, sinceramente democratiche capaci di portare avanti, col consenso popolare, una vera riforma dello Stato e degli assetti di potere. Questo a me pareil vero dramma dell’Iran attuale.

Oltre Ahmadinejad e Musawi ci può essere un ruolo per Bani Sadr?

Fino a qualche anno addietro, molti iraniani hanno sperato in un ritorno sulla scena politica di Bani Sadr, il primo presidente della repubblica islamica, e da quasi 30 anni in esilio in Francia per sfuggire alle persecuzioni degli anni ’80. Anche diverse forze politiche progressiste europee vedevano di buon occhio il ritorno di Bani Sadr, ma non trovarono il coraggio di dirlo apertamente. Di mezzo c’erano molti buoni contratti con l’Iran degli ayatollah.                                                  Bani Sadr, uno dei più stretti collaboratori dell’imam Khomeini, eletto a furor di popolo, tentò di avviare un processo unitario di costruzione del nuovo Stato con tutte le forze, anche della sinistra, che avevano combattuto la dittatura dei Palhavi e partecipato alla vittoriosa “rivoluzione” del 1979. Inaspettatamente, giunse la caduta, la condanna (a morte) del regime che Bani Sadr riuscì ad evitare fuggendo fortunosamente in Francia. Oggi è ancora lì, esiliato in una villa nei paraggi di Versailles, dove sconta la condanna più amara per un uomo che ama intensamente il suo paese, la sua gente.

In quegli anni lei ancora rivestiva importanti incarichi nel partito, può dirci se ci furono tentativi per rimetterlo in gioco?

Si qualche approccio è stato esperito. Ricordo che, nel giugno del 1999, andai a incontrare Bani Sadr proprio in quella villa di Versailles. Da tempo in Italia si parlava, specie negli ambienti dell’opposizione iraniana all’estero, della possibilità di un contatto fra il primo presidente della repubblica iraniana ed esponenti italiani politici e di governo. Per altro, in quel periodo in Italia c’era un governo di centro-sinistra (Prodi, D’Alema) che aveva aperto un canale importante di comunicazione e di collaborazione con l’Iran del presidente “riformista” Khatami.  Nessuno pensava che il governo italiano dovesse interrompere tali contatti, tutt’altro. Anche se si sapeva che Khatami non avrebbe potuto, o voluto, oltrepassare certi limiti imposti dagli ayatollah. Solo si sperava che, nel quadro del nuovo clima politico iraniano e delle aperture dell’Europa, in particolare dell’Italia, si potesse favorire, nelle forme e nei tempi possibili, una sorta di riappacificazione nazionale e quindi consentire a Bani Sadr e agli altri esuli dispersi per il mondo di rientrare. Era troppo, era poco? A me sembrò semplicemente giusto.

D’accordo sul giusto ma tolti gli omissis cosa fu fatto in concreto?

Discutemmo su una iniziativa che potesse, in qualche modo, avviare un primo contatto.L’idea era quella d’invitare Bani Sadr in Italia per presentare il mio libro “Fondamentalismo islamico-L’Islam politico” uscito mesi prima. Ovviamente, la presentazione del libro era anche lo spunto per farlo venire in Italia. Una volta giuntovi, avremmo cercato di combinare qualche incontro con esponenti politici ed anche di governo, nelle forme possibili. Nel passato, avevamo organizzato incontri di questo tipo, anche al di fuori dell’ufficialità, con rappresentanti di movimenti di liberazione.           La richiesta degli amici dell’opposizione (che erano in contatto diretto con Bani Sadr) era quella di far patrocinare la conferenza di presentazione del libro da un’autorità istituzionale di un certo rilievo che, in qualche modo, potesse dare un crisma di ufficialità alla presenza di Bani Sadr.        Visto che pareva difficile ottenere la disponibilità del governo o di istituzioni centrali, si pensò di chiedere il patrocinio al presidente della regione siciliana che all’epoca era l’on.Capodicasa il quale si mostrò disponibile a patrocinare l’iniziativa e ad invitare in Sicilia l’ex presidente Bani Sadr. Insomma, un giro piuttosto largo per raggiungere Roma.

Quindi il partito fu sufficientemente informato dell’escamotage che si preparava…

Non solo, ma forti dell’adesione del Presidente della regione, avviammo i preparativi del mio viaggio a Parigi. Però, prima di partire, informai la segreteria del PDS e la sezione esteri (con la quale collaboravo) ed anche lo staff del presidente del Consiglio, on. D’Alema, a palazzo Chigi. Per averne un assenso anche di massima e, eventualmente, qualche consiglio.              Per prima mi recai alle Botteghe Oscure dove incontrai l’on. Nicola Zingaretti (attuale presidente della provincia di Roma) della sezione esteri del Pds il quale, pur con tutte le cautele del caso, non sconsigliò il viaggio a Parigi. D’altra parte, ufficialmente, l’iniziativa non era promossa dal partito, ma dal Centro studi mediterranei di Agrigento.                                                                       Zingaretti mi suggerì d’informare qualcuno dello staff di D’Alema. Ne parlai con l’on. Roberto Quillo il quale ascoltò senza prendere impegni. Mi disse che prima bisognava acquisire la disponibilità di Bani Sadr e dopo avremmo parlato degli aspetti connessi ad un’eventuale azione del governo.

Insomma atmosfera da 007, cautele diplomatiche e qualche incertezza di troppo che non lascia presagire nulla di buono…

Si, arrivo al dunque. L’incontro era stato fissato (dall’Italia) per il 2 giugno, alle ore 17,00 nella villa blindata di Bani Sadr (Versailles, rue du General Pershing, 5). Purtroppo, quel giorno uno sciopero dei taxisti paralizzò Parigi e fummo costretti a rinviare l’appuntamento all’indomani, alla stessa ora. Superati i diversi controlli, gli uomini della vigilanza m’introdussero in un salone molto sobrio dove m’attendeva il presidente, col suo sorriso triste. Tralascio i convenevoli e le impressioni sul personaggio per andare al tema. Bani Sadr si dichiarò disponibile ad accettare l’invito dell’on. Capodicasa e di partecipare alla conferenza di presentazione del mio libro da tenersi a Palermo dove sarebbe stato ricevuto, con tutti gli onori del protocollo, dal presidente della regione e da altre autorità regionali e comunali. L’informai anche dei colloqui avuti con Zingaretti e Quillo e della possibilità di avere a Roma qualche contatto, anche ufficiale, con rappresentanti di partito e dello stesso governo D’Alema.

Però Bani Sadr è ancora esiliato a Parigi. Che cosa gli impedì di venire in Sicilia?
 Al ritorno in Italia informai i miei interlocutori degli esiti dell’incontro con Bani Sadr ed anche, in separata sede, con Babac Amir Kosraviportavoce del Partito democratico del popolo iraniano. Sollecitai una risposta anche perché si dovevano avviare i preparativi visto che si pensava di tenere la conferenza ad ottobre.                                                                               Anche gli amici dell’opposizione iraniana sollecitarono più volte i nostri interlocutori istituzionali e politici. Ma, inspiegabilmente, non ci fu data alcuna risposta. Era chiaro, anche se non detto, che l’iniziativa non doveva o non poteva più farsi. Non mi restò che telefonare al presidente Bani Sadr per ringraziarlo della cortese disponibilità, pregandolo di scusarmi per “l’inconveniente”.

  (in “Agoravox.it”, 22 luglio 2009)



LIBIA/ Informazioni dal gabinetto del Ministro esteri italiano.

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